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da Sondrio a São Mateus

Aggiornamento: 5 feb

Nel viaggio di tre giorni che da Sondrio ci porta a São Mateus, la seconda tappa sembra la più semplice e leggera: si tratta di andare da Casa Betania, dove siamo alloggiati qui a Salvador, alla Rodoviaria (stazione degli autobus) per acquistare i biglietti per São Mateus. Casa Betania, tenuta da tre simpaticissime ed affettuosissime suore, si trova nel bairro di Itapõa, sull'Oceano. Posto bello e rilassante, ma piuttosto lontano dalla Rodoviaria.

Del resto Salvador, come tutte le grandi città brasiliane, è estesissima. In più, sorgendo in un'area di "morros" (alture) presenta percorsi tortuosi ed assai accidentati.

Muoversi con i trasporti pubblici è, quindi, piuttosto complicato e richiede tempo e pazienza. Non vogliamo, però, ricorrere al qui imperante uber, per almeno due motivi. Il primo è economico: il nostro viaggio è, tra aereo ed ônibus, già estremamente costoso e questo comporterebbe un'ulteriore spesa di almeno 150-200 reais. I trasporti pubblici urbani di Salvador, per le persone dai 65 anni in su, sono invece gratuiti.

Ma c'è un altro motivo per noi più importante. Alla stessa stregua per cui preferiamo l'ônibus all'aereo, preferiamo muoverci nelle città come fanno le persone comuni: è un modo - magari un po' faticoso ma efficace - di entrare in contatto, immergerci nella cultura, che in fondo sono tra i principali obiettivi del nostro viaggio.


Decidiamo, quindi, di prendere l'autobus. Ciò comporta capire quale autobus prendere, cosa tutt'altro che semplice. La cultura popolare (i ricchi non usano gli ônibus: qui in qualsiasi cosa vige una sostanziale, rigida - per quanto negata - apartheid) è esclusivamente orale. Teoricamente ogni linea è contrassegnata con un numero, ma questo non compare da nessuna parte, così come non è segnato il percorso. Su ogni mezzo è semplicemente riportata la destinazione finale, spesso località dell'estrema periferia conosciuta solo da chi è del posto.

Succede così che nei punti di fermata, solitamente molto affollati, si intreccino richieste e risposte; conversazioni a cui tutti partecipano, spesso fornendo  indicazioni differenti. È già una interessante esperienza: noi stessi veniamo interpellati da una donna che non sa come raggiungere la propria meta. Una volta selezionata l'informazione ritenuta più attendibile, si tratta di attendere il mezzo contrassegnato dalla scritta relativa. Sono sempre molte - a volte moltissime - le linee che si intersecano nelle fermate. La nostra risulta la meno frequente: dobbiamo attendere per buoni venti minuti sotto il sole cocente dei tropici, senza poterci riparare in qualche punto all'ombra perché questo impedirebbe di riconoscere con la necessaria tempestività il nostro mezzo, col rischio di non  fare in tempo a salirvi.

Alla fine arriva. Gentilissimo il bigliettaio - eh, sì, qui c'è ancora: non è tutto automatizzato - ci fa passare e subito due giovani (ragazzo e ragazza) si alzano e ci cedono il posto. In Brasile le persone anziane sono rispettate e guardate con simpatia.

Del resto l'ônibus è una piccola - certo provvisoria ma autentica - comunità. Autista e bigliettaio gestiscono il loro ruolo con responsabile autonomia. Decidono, per esempio, di far salire gratis (aprendo la porta centrale di norma chiusa, in modo di evitargli il passaggio dal tornello) un cantore che si esibisce in canti religiosi che vengono molto apprezzati, poi racconta la propria storia suscitando l'interesse e la partecipazione della maggior parte dei viaggiatori, raccoglie un po' di offerte e scende con la sua chitarra. Nel frattempo si è creato un bel clima di condivisione; nessuno si è mostrato infastidito; molti sono commossi.

Intanto si sono attraversate varie zone della città: percorso un buon tratto del bel lungomare, rinfrescati dalla brezza salmastra generosamente penetrata dai finestrini, ci si è poi infilati in diversi quartieri semicentrali, avendo modo di paragonare zone con edifici abitati da persone di classe media (con cinta elettrificata e guardie armate) ad aree estremamente  povere, un po' fatiscenti ma molto animate.


Infine, dopo circa un'ora, giungiamo alla Rodoviaria. Questa è un mondo a sé, compendio della parte più popolare di Salvador. Raggiunta da alcune passerelle  che sovrastano le numerose corsie di una strada a scorrimento veloce, è abitata da un nunero considerevole di moradores de rua (senza tetto), circondata da banchetti e baracchini di piccolissimi venditori di ogni genere di cose, frequentata da un grande numero di persone dirette ai più diversi posti. Tutto molto esuberante e colorato, ma, in qualche modo, anche ordinato. E sopratutto vivo, autentico. Acquistati i nostri biglietti da un ragazzo molto efficiente e cordiale  (il giorno dopo, alla partenza, ci riconosce e ci saluta per nome come un vecchio amico), abbiamo ora il problema del ritorno. Con la nostra logica "europea" pensiamo di prendere in senso contrario  l'autobus dell'andata. Non è  così: quest'autobus in senso contrario, semplicemente non esiste. Facciamo quindi la consueta consultazione dei presenti, che dopo varie opinioni dà un certo responso e ci mettiamo in fiduciosa attesa, convinti - sempre sotto il sole feroce dei tropici - che il mezzo indicato prima o poi debba arrivare. E forse sarebba anche avvenuto, non fosse stato che, dopo una buona rovente mezz'ora, vedendo giungere un ônibus che, pur non esendo quello che ci era stato indicato, dal nome sul cartello mi era sembrato potesse andare nella nostra direzione, mi sono affacciato allo sportello ed ho chiesto al motorista (qui si chiama così) se andasse verso Itapõa. Non ci andava. Non si è, però, limitato a darmi questa risposta negativa. Invece di richiudere lo sportello e ripartire col suo carico di utenti presumibilmente in viaggio da tempo, ha cominciato a fornirci - nel frattempo si era affiancata anche Maria - dettagliate spiegazioni su dove (in realtà in un altro punto, non semplicissimo da raggiungere: occorreva portarci sul lato opposto della strada a molte corsie e ridiscenderla per un tratto) prendere un mezzo del tutto diverso. Nessuno dei passeggeri appariva spazientito, anzi molti si prodigavano in  indicazioni aggiuntive, finendo col confonderci un po'. Sicché il motorista ha deciso di  farci salire e portarci nel punto opportuno, effettuando una  sosta non prevista in un luogo non regolamentare. Lì siamo scesi, accompagnati da saluti calorosi.


Racconto - forse con troppa dovizia di particolari - questo piccolo aneddoto, perché mi sembra illumini un aspetto che ritengo molto rilevante della cultura degli afrobrasiliani - che costituiscono la maggioranza del popolo brasiliano e che, a Salvador, rappresentano la quasi totalità della gente comune: la concezione del tempo, totalmente diversa dalla nostra. Noi, nella nostra presunzione di Europei, crediamo di essere signori del tempo, di dominarlo. E invece ne siamo schiavi. Dobbiamo "sfruttarlo"; guai a "perderlo" perché "fugge"; "ruit hora" ecc. E così la nostra vita ne è totalmente condizionata ed è essa - e non il tempo - che ci scivola via.

Il nostro motorista ed i suoi passeggeri invece sono stati molto più liberi ed insieme attenti. Ci hanno "visto", ascoltato; hanno percepito una nostra situazione di disagio, di difficoltà. Minima, certo, ma reale. E non sono rimasti indifferenti. Non hanno accampato il dovere di rispettare la tabella di marcia, l'esigenza di ciascuno di raggiungere (il più presto possibile, appunto) la propria destinazione. Hanno invece incarnato - spontaneamente, con estrema naturalezza - il riconoscimento della centralità della relazione. La selta di vivere il tempo che ci è dato ( e che può essere dono o condanna) non come la corsa (cieca) verso il raggiungimento di un proprio obiettivo posto come "assoluto", ma come la possibilità di aprirsi alle concrete situazioni che la vita ci offre, alla relazione con le persone che ci fa incontrare, per la realizzazione di un (piccolo o grande non importa) orizzonte comune. Tempo come Kairós (momento vivo, ricco di possibilità) e non come l'orrido Chronos che tutto e tutti divora.


Così la nostra scelta dell'ônibus con tutti i suoi disagi è stata ampiamente - ed anche filosoficamente - ricompensata.



Un forte abbraccio  e buoni ricchi momenti di vita a tutti.


Maria e Francesco

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