Venti ore di ônibus sono lunghe: lasciano storditi. Le ultime due poi, quando oramai ti senti a casa, riconosci ogni angolo, ti stupisci di qualsiasi piccola variazione nel paesaggio, non passano mai.
Ma una bella e dolce sorpresa ci attende all'arrivo e dissolve d'un colpo la fatica del viaggio. Sulla panca di cemento della Rodoviaria, insieme agli amici di sempre, in attesa da più di un'ora, un gruppetto di ragazzi e ragazze del Centro Reconstruir a Vida.
È la prima volta che vengono ad accoglierci qui. Finora l'incontro era sempre avvenuto "laggiù", nel Porto, nel loro territorio: la zona dei neri, delle favelas, dello spaccio... Ora invece sono "saliti" in centro. Non si tratta di una grande distanza, in termini spaziali: poche centinaia di metri; ma è un salto sociale, psicologico, culturale dall'enorme valore simbolico. Hanno acquisito sicurezza; si stanno appropriando delle aree pubbliche della città, che sta diventando "la loro" città . Assumono e rivendicano la propria "cidadania" (piena consapevolezza ed esercizio dei propri diritti di cittadinanza). È il principale obiettivo degli interventi del nostro Gemellaggio, e che lo associno a noi, alla nostra presenza in mezzo a loro, ci commuove e ci riempie di orgoglio.
Di tutti i riconoscimenti che abbiamo ricevuto in questi anni, è sicuramente il più prezioso.
Ci corrono incontro; ognuno, ognuna richiede e ricambia un abbraccio. Lo fanno sempre, ma questa volta mi nasce una riflessione.
Penso ai nostri adolescenti e preadolescenti italiani, alla loro ritrosia nei confronti di abbracci, carezze, di ogni tipo di contatto fisico con gli adulti. Mi chiedo perché vi sia questa diversità, da dove promani. Tra le molteplici (molte più e molto più profonde di quanto possa sembrare) differenze tra le nostre culture, c'è la rimozione e sottovalutazione del corpo. Del corpo come elemento di comunicazione, intendo; come ciò che consente il nostro concreto stare nel mondo, in relazione con ogni altro essere e con il Tutto dell'Universo. Certo, lo nutriamo, curiamo, vezzeggiamo; siamo ossessionati dal suo aspetto, dalla sua "forma", ma lo trattiamo come fosse una cosa, un utensile, magari prezioso ma nulla più. Totalmente reificato ed asservito ad una nostra presunta ed astratta identità. Penso spesso alla curiosa contraddizione per cui una cultura che rivendica radici cristiane - una religione fondata sul mistero dell' Incarnazione ("la Parola si è fatta carne") - ha poi finito per disconoscere il valore del corpo, contrapponendolo artificialmente alla mente, all'anima, allo spirito. Sarà che questo travisamento abbia finito con l'influire sulla incapacità di riconoscere e valorizzare le emozioni, sulla presso che totale ignoranza dei propri sentimenti che caratterizzano i nostri ragazzi? E sulla nostra incapacità di stabilire un adeguato rapporto educativo e comunicativo su questo terreno, che per lo più è come se non esistesse o fosse assolutamente secondario e privo di importanza? Con tutte le - terribili - conseguenze.
Ci chiedono spesso cosa ci insegni l'esperienza del Brasile. Questo, per esempio: il valore delle emozioni; l'importanza di riconoscerle ed esprimerle, senza il timore di esporsi. La bellezza del contatto. Quanto si possa comunicare, ricevere e donare con un abbraccio. Il valore del corpo, che non si riduce a strumento erotico o di prestazioni sportive, ma è parte viva e sensibile del nostro spirito. E questi insegnamenti preziosi ci vengono soprattutto dai bambini e dai ragazzi. Forse è per questo che il vangelo - così malamente letto, poco capito e molto frainteso - dice: "Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli".
Un forte abbraccio con tutto il calore del Brasile.
Francesco e Maria
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