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São Mateus, 14 settembre 2023

Aggiornamento: 6 feb 2024

Essendo stato per tre secoli un porto di schiavi, destinati a lavorare nelle numerose fazendas (prevalentemente per la produzione di farina di mandioca), in un'area presso che integralmente ricoperta dalla mata (foresta) atlantica, nel municipio di São Mateus  ( 2.356 km2) si trovano numerosi Quilombo.

Si tratta di comunità di neri, discendenti di schiavi fuggiaschi che, soprattutto tra Seicento e Settecento, rifugiandosi nella foresta, riuscirono a costituire delle vere e proprie repubbliche indipendenti, che organizzarono in maniera autonoma - preservando molto delle loro radici culturali e sociali africane - con una propria capacità militare, non di rado intrattenendo rapporti commerciali con i centri circostanti, per lo più tramite navigazione fluviale.



Alcuni divennero molto importanti, altri rimasero comunità minori, ma tutti conservarono una precisa caratterizzazione razziale e culturale. Ebbero poi storia piuttosto complicata tra Ottocento e Novecento, anche per via di conflitti - talora molto accesi - con l'emigrazione europea (in gran parte italiana) che si sviluppò dopo l'abolizione (ufficiale...) della schiavitù, nel maggio del 1888.  L'attuale Costituzione del 1988, elaborata dopo la fine della dittatura (1964- 1985), riconosce a queste comunità denominate "Remanescentes de quilombo" una serie di diritti, primo tra tutti quello di permanere nella propria terra.


Analogamente a quanto avviene per i popoli indigeni, numerosi ostacoli vengono tuttavia frapposti all'effettiva fruizione di questi diritti. Innanzi tutto al riconoscimento stesso di costituire una comunità quilombola. Come domostrarlo, in effetti? La loro origine era illegale ed eversiva rispetto alle leggi del tempo, che consideravano la schiavitù una istituzione non solo lecita, ma fondamentale per lo sviluppo e la stabilità sociale: indispensabile, positiva ed addirittura benedetta da Dio (que o Senhor da Vida, da Justiça e do Amor perdoe-nos!).

Per definizione, un quilombola non può esibire titoli di proprietà. Questo, del resto, connota bene la questione (assolutamente cruciale) della terra in Brasile. Possiamo sintetizzare così: chi ha diritti sostanziali non possiede titoli legali; viceversa può presentare documenti formali chi si è impossessato in maniera illegale - spesso violenta oltre che truffaldina - delle terre che rivendica e che la legge - ingiustamente - gli riconosce. Tanto che esiste un vocabolo specifico: "grilo" per indicare una proprietà fraudolentemente acquisita. Attività che viene denominata "grilagem" e "grileiro" la persona che ne fruisce.


Ne consegue che poche sono le comunità quilombolas che effettivamente godono del riconoscimento e dei diritti che la costituzione attribuirebbe loro. Per lo più devono lottare con poderosi avversari, molto agguerriti - e non solo in senso figurato - e ben sostenuti dalla élite dominante.



Due giorni fa, abbiamo visitato il Quilombo do Morro de Arara (Collina del Pappagallo), che ancora non conoscevamo. Il pappagallo non c'è, e neppure la collina, per lo meno nel territorio dell'attuale quilombo. E, per la verità, abbiamo faticato anche ad individuare il quilombo stesso, che si presenta con caratteristiche molto differenti dagli altri che conosciamo: nessuno spiazzo dedicato agli incontri ed alle attività collettive; quasi inesistenti le terre coltivate (il quilombo è, per origine e definizione una comunità rurale).


Solo alcune casette - ci hanno detto che vi sono sessanta famiglie; noi ne abbiamo incontrate cinque o sei - ognuna circondata da un piccolo appezzamento di forse un paio d'ettari, destinato ad allevamento di galline, un orto, qualche pianta di mandioca ed alberi da frutto. Piccolissima coltivazione per autoconsumo. Ad un paio di chilometri scorre il fiume (Kirí-Karé: lo stesso su cui sorge, poco più in basso il Porto di São Mateus), evidentemente un tempo compreso nel territorio del quilombo: infatti "qui" c'è il morro. Alcune semplici canoe di legno ormeggiate alla riva indicano che vi si pratica la pesca. Tutto intorno, per centinaia di chilometri, le piantagioni di eucalipto di cui la Suzano, potentissima multinazionale della cellulosa detiene il monopolio.

Il quilombo ne è completamente circondato e, evidentemente, gli abitanti hanno stabilito - presumibilmente con la mediazione della Prefeitura (Amministrazione Comunale) - un accordo con la Suzano, cui hanno ceduto la maggior parte delle terre. Come gli altri oligopoli (dell'agroindustria e dell'estrazione mineraria), che sfruttano le risorse e devastano il territorio del Brasile, la Suzano si atteggia a protettrice dell'ambiente e millanta una funzione sociale.

Così ha donato qualche macchina per cucire, con le quali alcune donne del quilombo - che hanno costituito una cooperativa - confezionano capi di abbigliamento, dando vita ad una micro attività commerciale.


Così il Quilombo do Morro de Arara sopravvive, pur senza Arara, senza Morro e quasi senza terra, in un delicato e precario equilibrio con la straripante potenza (e prepotenza) degli oligopoli, veri padroni del Brasile.




Francesco

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