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São Mateus, 3 luglio 2025

Bumba-meu-boi


Il Brasile che noi oggi conosciamo ed amiamo, in cui con entusiasmo ci immergiamo, si è costruito con brutale violenza nei secoli della colonizzazione, del genocidio dei popoli originari - che per un equivoco per loro offensivo continuiamo a chiamare "Indios" - e della schiavitù. Questo processo storico estremamente doloroso ed intessuto di mille contraddizioni ha prodotto - con una sorta di eterogenesi dei fini - una rutilante cultura, estremamente viva ed armoniosa, fatta di musica, danza e di una ricchissima simbologia. Affascinate ed estremamente coinvolgente, ma non facile da interpretare in quanto intessuta con una sorta di linguaggio cifrato attraverso il quale i pochi indigeni sopravvissuti ed i milioni di Afrodiscendenti trascinati qui con la tratta hanno conservato, rielaborato e trasmesso la propria visione del mondo, mascherandola in modo che i bianchi dominatori non capissero, anzi fraintendessero radicalmente, interpretando come accettazione dei propri valori e tradizioni, quello che, in realtà, era espressione di una concezione filosofica, religiosa ed artistica completamente differente, per non dire assolutamente contrapposta.


Gli sconfitti, gli schiavi infatti avevano l'assoluta proibizione, pena crudelissime punizioni, di utilizzare la propria lingua - che i padroni non comprendevano - e di manifestare la propria cultura. Per esprimersi, hanno quindi sostituito il linguaggio verbale con quello musicale ed elaborato complesse e suggestive coreografie e rappresentazioni simboliche. Un doppio codice con il quale riuscivano a comunicare con i propri fratelli, ingannando nel contempo i padroni.

Sono riusciti tanto bene in questa complessa operazione, condotta con grande fantasia ed estrema creatività, che l'inganno resiste e funziona ancora oggi. Pochissimi tra i Brasiliani ed ancor meno tra gli stranieri, che pure assistono ammirano ed applaudono le ricche numerose e suggestive manifestazioni della cultura popolare, riescono a penetrarne il senso e decodificarne il significato.

Un esempio emblematico è costituito dalle "festas juninas", manifestazioni vivacissime e coloratissime che si succedono per tutto il mese di giugno. Mese che qui rappresenta l'inizio dell'inverno - siamo nell'emisfero australe - ma che in Europa segna l'inizio dell'estate. E già questo rovesciamento, che diviene sovrapposizione ed identificazione tra due stagioni contrapposte, tra fine ed inizio, esprime una totalmente differente concezione del tempo: non lineare e sfuggente in cui tutto si consuma e svanisce, ma circolare in cui tutto permane, ritorna e niente si dissolve.


All'origine furono i  conquistatori portoghesi ad introdurre queste festività, legandole ai santi più venerati: sant'Antonio, san Giovanni e san Pietro. Gli schiavi afrodiscendenti se ne sono appropriati, facendone uno schermo per affermare, celebrare, conservare e riprodurre la propria vietatissima e demonizzata cultura, generando l'equivoco del sincretismo.


Una delle manifestazioni più conosciute ed apprezzate - tipica del Maranhão dove è nata, ma oggi diffusa in tutto il Brasile - prende il nome di "Bumba-meu-boi". Già in questa denominazine si esprime una articolata simbologia.

"Bumba" indica il suono dei tamburi: strumento e voce propri della cultura africana, dal ritmo incalzante ed intenso, quasi frenetico,  evocazione dell'inesauribile forza vitale che tutto pervade.

"Boi" - bue - indica la principale e tradizionale fonte di ricchezza dei "fazendeiros" delle regioni del Nord e del Nordest: l'allevamento dei bovini, che a volte assomma a molte decine di migliaia di capi. Gli schiavi  erano, soprattutto, utilizzati nelle fazendas.

C'è, quindi, la relazione tra lo schiavo nero ed il signore bianco, mediata dal "boi"; animale che, agli occhi del padrone, aveva immensamente più valore dello schiavo.

Entrano poi in scena altri due personaggi fondamentali: Catarina, la moglie di Francisco, lo schiavo e successivamente il Pajé, che nelle culture indigene ha la funzione di sacerdote e sciamano. La donna: dimensione femminile portatrice e generatrice di vita; il Pajé che incarna la sapienza ancestrale, che include la conoscenza del rapporto misterioso tra vita, morte e rinascita.

La storia in sé è semplice. Catarina è incinta ed ha le voglie: prova un desiderio irrefrenabile di mangiare lingua di bue. Francisco, il marito, la accontenta ed uccide un animale particolarmente caro al padrone. Si schematizza qui una situazione emblematica particolarmente complessa. Innanzi tutto la famiglia. La condizione di schiavitù negava al nero una reale relazione famigliare. Lo schiavo, la schiava erano cose, oggetti di proprietà del signore che poteva utilizzarli a suo piacere; le donne, in particolare, a scopo sessuale. Di totale proprietà del padrone erano anche i figli, tanto che se una schiava incinta, non volendo mettere al mondo uno schiavo, abortiva e veniva scoperta, subiva una crudelissima punizione per furto: aveva sottratto al padrone qualcosa che gli apparteneva. La totale negazione della relazione parentale rappresentava, per un Africano, una privazione gravissima, una sorta di intima e profonda mutilazione, essendo la sua cultura radicata sul principio della ancestralità.

Francisco decide di soddisfare la voglia della moglie. Non si tratta di assecondare un capriccio, tutt'altro. C'è l'affermazione del suo ruolo di marito e padre, cioè della propria identità ed autonomia di persona, attraverso l'attiva e responsabile partecipazione alla perpetuazione della vita che, appunto, esprime l'ancestralità.

Uccide, quindi, il bue e gli taglia la lingua. Non è solo un furto: è un esplicito atto di ribellione. Il bue è simbolo del potere e dell'autorità del padrone: Francisco vi si contrappone, lo sfida, in nome dei suoi valori e della sua dignità, che con essi si identifica.

Il signore - che a differenza di Francisco e Catarina non ha nome proprio in quanto non rappresenta tanto una persona quanto una funzione: sorta di maschera della commedia dell'arte - reagisce con rabbia. Lo schiavo che è uscito dalla sua sottomissione, ha rifiutato il proprio ruolo ed ha sfidato il suo potere, deve essere ucciso. Non tanto per il furto in sé, quanto per la violazione della gerarchia, fondamento indiscutibile dell'ordine coloniale.

Qui entrano in scena gli altri schiavi.

C'è una società occulta, clandestina che il padrone ignora; un altro ordine, simmetrico e parallelo al suo, con proprie regole e statuti; una relazione comunitaria basata sulla solidarietà: la società dei Neri, che non si identifica e sotterraneamente resiste alla schiavitù. Chiamano il Pajé. Questo è molto interessante: indica la saldatura - ancor oggi pochissimo studiata - tra i Neri vittime della tratta ed i superstiti dei popoli originari. Entrambi oppressi, sfruttati e negati; entrambi portatori di una visione del mondo con molti tratti in comune. Il Pajé risponde al richiamo e, dalla foresta - simbolo della pienezza della vita - giunge nello spazio più angusto della fazenda, portandovi la sua atavica sapienza, che altro non è che la capacità di ascoltare e mettersi in relazione con le forze della natura. Col suo arrivo, la vita - che è una ed universale - si risveglia e manifesta in tutta la sua potenza. Il boi resuscita, perché la vita non può finire: fluisce senza sosta ed interruzione da un individuo all'altro. Il boi non ha fatto altro che trasmettere energia al nascituro e questo non l'ha indebolito, al contrario ne ha esaltato la vitalità che tende sempre ad espandersi.

Così nessuno muore: Francisco viene perdonato. Il signore è contento, crede d'aver vinto, mentre sono la cultura e la forza dei popoli assoggettati e considerati inferiori ad essersi affermate.

Raccontata così, a parole - le "nostre" parole - la vicenda può apparire estremamente semplice, quasi banale. In realtà sono il ritmo travolgente delle percussioni, la sfrenata energia dei movimenti, la ricchezza immaginifica della coreografia, la bellezza suggestiva dei costumi e - perché no - delle danzatrici e dei danzatori: tripudio di creatività, armonia e forza vitale a conferirle significato e vigore, facendone una sorta di cosmogonia capace di introdurci in una totalmente differente ed affascinante visione del mondo.

 
 
 

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