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São Luís, 16 giugno 2025

Eccoci a São Luís, capitale dello stato del Maranhão, elegante città degli azulejos, uno dei centri della penetrazione coloniale; inizialmente francese, poi contesa tra Olandesi e Portoghesi che infine ebbero la meglio.

In suggestiva posizione nell'isola Upaon-Açu, nome tupi che significa "Isola grande", tra i due ampi estuari dei fiumi Anis e Bacanga.

Qui è tutto spettacolare, ad iniziare dalle maree che sollevano onde di decine di metri. Dal balconcino di Valdênia e Renato - gli amici che ci ospitano - si può osservare agevolmente il fenomeno: in certi orari il delta - che qui fa tutt'uno con l'oceano - si presenta come maestosa distesa di acqua; poche ore dopo è quasi interamente occupato da banchi di sabbia.

Siamo pochi gradi sotto l'equatore, di cui si avverte il caldo umido in tutta la sua pesantezza. Non c'è la "brisa" che "ameniza" (come qui si dice) il clima di altre località costiere più o meno alla stessa latitudine, per esempio Parnaiba dove siamo stati lo scorso anno.

Qui si è sempre immersi in un bagno di sudore; il momento in cui ci si sente più asciutti è sotto la doccia che - quando si può - si fa tre o quattro volte al giorno. Fortunatamente nella casa di Valdênia e Renato non c'è problema di acqua; è un grande privilegio:"tomar banho" qui rappresenta uno dei principali rituali che scandiscono la vita quotidiana.


São Luís costituisce la prima vera tappa del nostro viaggio. Salvador de Bahia, con la "carinhosa" [affettuosissima] ospitalità delle nostre amiche irmãs della Casa Betania è stata solo una stazione di ristoro, che ha piacevolmente interrotto la fatica di un lungo e non semplice percorso col suo "sossego" (accogliente riposo) profumato di casa.

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Qui ci troviamo in uno dei punti maggiormente caratteristici del Nordeste: probabilmente l'area più autentica del Brasile. Il che vuol dire uno spazio culturale, antropologico, etnografico, storico, sociologico, urbanistico ed artistico - oltre che geografico - di grande diversità, ricchezza e complessità. Affascinante ma di tutt'altro che immediata lettura.


Il nostro amico padre Luís - ucciso più di vent'anni fa con grande violenza in circostanze mai chiarite nell'estrema periferia di Salvador in cui viveva e che tutt'ora rappresenta uno dei nostri punti di riferimento - ci aveva detto: 《 Quando si arriva qui, per il primo anno si deve solo tacere ed ascoltare; il secondo si può incominciare a parlare, ma unicamente per domandare; è solo nel terzo anno che si può cominciare a esprimere qualcosa di proprio》. Noi siamo al ventottesimo anno e ci sembra di cominciare solo ora ad avere elementi per porre qualche domanda sensata...


Essendo stato uno dei poli della penetrazione coloniale, São Luís è stato altresì uno dei porti del commercio degli schiavi; analogamente a São Mateus, ma generando una storia ed una cultura in parte significativamente differenti. Presumibilmente, tra l'altro, perché qui i neri si sono profondamente mescolati con i nativi, intrecciando caratteri genetici e culturali; laddove nell' Espírito Santo i popoli originari sono stati fin dai primi anni della conquista totalmente sterminati: il più vasto, crudele, definitivo genocidio della storia, presso che completamente rimosso.

All'arrivo dei Portoghesi - nell' aprile dell'anno 1500 - si calcola che nell'attuale Brasile - che gli abitanti originari chiamavano Pindorama (Terra delle palme, probabilmente perché ve ne sono centinaia di specie, ognuna con peculiari ed importanti proprietà) - vivessero circa cinque milioni di persone, distribuite in numerosi popoli. Allora l'intera popolazione del globo era di 400 milioni. Oggi è aumentata più di venti volte. Se i popoli originari fossero cresciuti nella medesima proporzione, i loro discendenti dovrebbero essere più di cento milioni. Sono meno di un milione: uno sterminio di più del 99% e numerosi popoli - come gli Aymores del rio Kirí-Keré di São Mateus -  totalmente scomparsi.

Una della caratteristiche più coinvolgenti di un viaggio in Brasile è che ci si muove nel tempo più ancora che nello spazio. O, più precisamente, cambia radicalmente la percezione dello spazio-tempo: la sua misura e la sua direzione.

Allontanandosi dalla città, ad esempio, non si va solo verso un altro luogo: ci si immerge progressivamente in un tempo differente, che non è esattamente il passato quanto piuttosto quella dimensione - per noi Europei così difficile da intuire - che la cultura afroindigena chiama "ancestralità". 《Sou eterna porque ancestral fui e ancestral serei》 [Vivo nell'eternità perché vengo dall'ancestralità e nell'ancestralità continuerò ad esistere] dice la poeta Benedita Lopes, nella poesia: Canto de avós [Canto delle progenitrici]. Verso che mi sembra esprimere con grande efficacia ed estrema precisione - anche filosofica - la nozione di eternità così difficile da collocare - ed anche solo da immaginare - con le categorie della nostra cultura.


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Qui, man mano che si esce dal contesto urbano, si superano gli edifici eleganti e le chiese monumentali del centro (vestigia della cultura coloniale con la sua esibizione di fasto e potenza materiale e spirituale), si attraversa la povertà delle periferie con il degrado delle favelas e ci si immerge nel verde di una vegetazione varia, rigogliosa e un po' selvaggia, mentre l'asfalto cede il posto allo sterrato di  argilla, che si leva in avvolgenti nubi di polvere rossa se asciutta per trasformarsi in una patina scivolosa come il ghiaccio con la pioggia - spesso le due cose insieme se la pioggia recente è stata in parte prosciugata dalla vampa del sole allo zenit - mentre il ritmo del percorso perde ogni tratto caratteristico della velocità cui siamo assuefatti ed il tempo si dilata ed assottiglia, non è verso il futuro quanto verso il passato che ci si dirige. O, per meglio dire, si ha l'impressione di un movimento circolare che riempie di tranquilla intensità un presente che, pur essendo tutt'altro che statico, appare liberato da quella costante ansia del "ruit hora" che consuma ogni nostro momento.

Qui la lentezza dà spessore e consistenza al luogo, al momento, all'azione, all'incontro. Il passato vive nel presente che lo accoglie, nutre e custodisce per trasmettere tutta la sua arricchita fecondità ad un "ora" in cui il ritmo di ogni relazione si distende, per acquisire  la misura naturale ed umana dello sguardo, del pensiero e dell'ascolto.

Un tempo per abitare, con- vivere lo spazio.

 
 
 

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