São Mateus, 18 giugno 2025
- Chiara Speziale
- 15 lug
- Tempo di lettura: 4 min

Per capire qualcosa del Brasile occorre entrare nella parte nascosta della sua storia, quella in ombra: il ruolo - essenziale - e la vita degli schiavi. Storia in gran parte negata, mistificata e rimossa alla quale, quindi, è piuttosto difficile accedere. Rimossa e mistificata innanzi tutto dai bianchi che non vogliono assumersene la responsabilità, liquidandola come qualcosa inerente ad un passato estremamente remoto, concluso da tempo ed oramai privo di qualsiasi significativa relazione con l'oggi; ma anche - almeno fino ad ora - pochissimo riconosciuta ed assunta dagli stessi neri, che per secoli hanno vissuto - e subito - l'obbligo e la necessità di occultare ai padroni bianchi il loro vero pensiero e, più in generale, tutto quanto si riferisse alla loro cultura, che veniva - ma in parte avviene ancora - demonizzata e di cui era severamente proibita qualsiasi espressione, pena le punizioni più crudeli.
"Branqueamento" - da "branco": bianco - così si denominano l'ideologia ed il processo tramite i quali si è cercato di eliminare dalla consapevolezza e dalla narrazione storica e culturale ogni traccia del ruolo fondamentale che milioni di uomini, donne e ragazzi neri, prelevati con la violenza dalla loro terra africana, trasportati nelle più disumane condizioni, stivati come merci - i maschi incatenati in pochi centimetri di spazio - in viaggi che duravano mesi, hanno svolto nella costruzione e nello sviluppo della società brasiliana e quindi - data la relazione coloniale - di quella europea. Sul ruolo della schiavitù e del suo sfruttamento nell'edificazione della nostra cultura - incluse le realizzazioni del Rinascinento e le elaborazioni etico-filosofiche e giuridiche del Seicento e dell'Illuminismo - c'è ancora moltissimo da studiare e scoprire.
È anche per questo che siamo qui e che - guidati da Valdênia - andiamo ad incontrare la Comunità quilombola de Santa Joana, nel Territorio de Santa Maria dos Pretos (" dei Neri"), Municipio de Itapecuru: "agua que corre entre as pedras".
Il torrido clima equatoriale impone una per noi inusitata scansione della giornata: occorre sfruttare le primissime ore del mattino - le luci dell'alba cominciano a scorgersi tra le cinque e le sei - quando il calore non è ancora eccessivo. Così per raggiungere la Comunità e partecipare alla importante assemblea dei suoi abitanti - raggruppati ora in 50 famiglie - la partenza avviene "bem de madrugada": alle quattro. Questo ci mette subito nel ritmo di un mondo ed un tempo "altri". "Subito", ma non facilmente: modificare le proprie abitudini è una delle cose più difficili, ma rappresenta la condizione indispensabile per accedere ad una realtà che, altrimenti, ci sfuggirebbe.
I quilombos costituiscono una delle componenti fondamentali, per quanto periferiche e generalmente semi-nascoste in aree rurali difficilmente accessibili, della società brasiliana. Sorti per lo più tra XVII e XVIII secolo ad opera di schiavi fuggiaschi che, rifugiandosi nel cuore delle foreste che allora ricoprivano la maggior parte del territorio, diedero vita a comunità autonome - sorta di piccole repubbliche - organizzate sul modello e secondo la cultura africana: autogoverno con forte partecipazione di tutti gli abitanti, gestione collettiva dell'economia basata su una efficiente produzione agricola che non di rado dava luogo a scambi commerciali con i centri urbani circostanti - in genere mediante trasporto fluviale - e, per i più importanti, una propria forza militare che ne ha consentito la sopravvivenza in una complessa relazione con i grandi fazendeiros e le istituzioni coloniali, oscillante tra riconoscimento informale e tentativi di annientamento.
Non per niente "o Dia da Consciência Negra" - la festa degli Afrodiscendenti - non è il 13 di maggio, data ufficilale dell'abolizione della schiavitù (Lei Aurea,1888: ultimo paese al mondo), ma il 20 novembre, che ricorda la lotta di Zumbi di Palmares, il più celebre capo militare del più importante dei quilombos.
"Quilombo", quindi, è sinonimo di resistenza, riscatto e preservazione della propria identità e cultura. Rappresenta anche un modello, tenacemente difeso, di vita comunitaria caratterizzata da una forte solidarietà. "Difeso" perché costantemente aggredito e sempre più pesantemente minacciato.
Fin dall'inizio, la loro stessa formazione rappresentava un fenomeno eversivo. Oggi si direbbe "terroristico". La schiavitù non solo era del tutto legale - per non dire spesso benedetta dalla Chiesa e considerata strumento di salvezza spirituale: i neri venivano battezzati, col che si salvava la loro anima, sottraendola al dominio diabolico di perverse convinzioni idolatriche - ma rappresentava l'istituzione portante e fondante della società coloniale. Gli schiavi fuggiaschi erano considerati pericolosi banditi, che andavano perseguiti e neutralizzati in ogni modo; per lo più con estrema violenza.
Come spesso avviene - e qui è particolarmente evidente - questa storia apparentemente remota produce effetti assolutamente attuali, oltre che drammatici. In conseguenza di questa loro origine - eversiva ed illegale rispetto alle istituzioni del tempo - le comunità quilombolas, per quanto formalmente riconosciute dalla Costituzione del 1988, incontrano enormi difficoltà ad ottenere titoli ufficiali di proprietà delle loro terre, laddove i grandi proprietari - oggi per lo più società transnazionali dell'agroindustria sostenute, un po' per corruzione un po' per logica capitalistica, dal potere locale e nazionale - questi titoli se li sono procurati, spesso con la subornazione e l'inganno ed ancora più spesso con la violenza.
Sottesa all'apparente serenità ingannevolmente idilliaca della vita del quilombo, immerso nel verde, con le case accoglienti nella loro estrema semplicità e la sorridente gentilezza dei volti, una costante pericolosissima minaccia impone agli abitanti un perenne stato d'allerta ed una costante attenzione per fronteggiare e neutralizzare attacchi spesso subdoli, volti a dividere e creare conflitti suscitando fratture e fomentando disgreganti pulsioni individualistiche.
Infatti, essendo il quilombo essenzialmente una comunità, per distruggerlo - e conseguentemente appropriarsi della terra - ciò che bisogna fare è dissolverne lo spirito, frantumarne l'unione.
È su questi temi e per contrastare questo processo che si svolgono animatissime e partecipatissime assemblee, ovviamente di domenica, giorno libero dagli impegni di lavoro, che diventa così il giorno della (lotta per la) libertà.




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