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São Mateus, 3 settembre 2023

Aggiornamento: 6 feb

Il fine settimana è dedicato agli incontri organizzativi e di programmazione. Il più delle volte arricchiti da un momento conviviale. L'ospitalità e la condivisione: del cibo, del tempo, della presenza, dell'amicizia, del - come qui si dice - "carinho" (termine dalla valenza molto ricca: affetto, prossimità, prendersi cura, accogliere...) sono parte integrante della cultura del popolo brasiliano; in modo particolare della gente semplice.



Una esperienza che ci incanta sempre é trascorrere la domenica nelle comunità delle periferie e delle aree rurali, prevalentemente formate da afrodiscendenti e cafuzos (incroci tra neri ed indios).

Generalmente non c'è il sacerdote: sono pochi e celebrano nelle chiese del centro. Il popolo brasiliano ha però una profonda sensibilità religiosa, così la comunità si organizza in autonomia, distribuendosi i ruoli che vengono ricoperti a turno. Lo chiamano "culto". Subito si percepisce un clima di intensa spiritualità e viva partecipazione: non si tratta di adempiere ad un dovere (probabilmente queste persone nemmeno conoscono il termine "precetto"). Quello che qui si vive è la partecipazione ad una festa, un autentico rito - sacramento - di condivisione. Nessuno qui è estraneo. Se arriva qualcuno che non è della comunità, non viene ignorato ma accolto. Nel corso o alla fine della celebrazione verrà invitato a presentarsi, raccontare di sé, spiegare il motivo della propria presenza: non forestiero, ma ospite che arricchisce con la sua storia l'esperienza della comunità.



La chiesa - intesa come edificio - è lo spazio di questa condivisione, più che "la casa di Dio" che non ne ha alcun bisogno, come lui stesso ha detto a David che avrebbe voluto costruirgli un tempio (Cronache 17, 1-10). Qui la comunità si riunisce per celebrare, consolidare, nutrire la propria unione, benedetta dal Signore: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Mt 18, 20). Esserci, con-dividere (ma sarebbe meglio "con-moltiplicare") è una gioia. Qui si dice "alegria" che - a differenza della gioia che può essere puramente interiore - deve necessariamente esprimersi, manifestarsi. Ogni momento del rito viene vissuto con profonda intensità ed attiva partecipazione. Così la celebrazione può durare ore e nessuno se ne lamenta. Chi mai protesterebbe per una festa molto ben riuscita? Chi ha avuto l'incarico di commentare le Letture (il carisma della Parola) si è preparato coscienziosamente, riflettendo a lungo sui testi. Non improvvisa e non parla per luoghi comuni, non ricorre a formule convenzionali. Unisce la Parola alla Vita, all'esperienza concreta, ai problemi ed ai progetti della comunità. La Parola illumina la Vita e la guida; la Vita consente alla Parola di rivestirsi di carne, la fa concreta: "La Parola si è fatta carne" (Gv 1, 14).  Questo ci incanta. Ogni momento di queste celebrazioni è realmente vissuto, attivamente partecipato.

Il segno della pace è un abbraccio che tutti scambiano con tutti; movendosi, andando da un capo all'altro. A volte fornisce l'occasione per risolvere un diverbio, superare uno screzio; senza tante parole: con una stretta, guardandosi negli occhi. L'offertorio spesso consiste nel portare viveri o altri generi di prima necessità, che verranno distribuiti alle famiglie ed alle persone in difficoltà. La preghiera dei fedeli, in cui molti prendono la parola, serve anche a comunicare problemi, sofferenze, lutti o, viceversa, gioie, successi, nascite. Questo spirito è bene reso dalla liturgia.

All'invocazione "il Signore sia con voi" si risponde "Ele está no meio de nós": Egli "è" in mezzo a noi. E veramente lo si percepisce: presenza che perdura per il resto della giornata ed accompagna le conversazioni, gli scherzi, i progetti; riempiendo di senso e valore una relazione che è insieme operativa, concretamente orientata all'azione, e delicatamente attenta alle sfumature dei sentimenti e delle emozioni.

Cioè veramente ed integralmente umana.


Un forte abbraccio e buona settimana.



Francesco

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